Ultimo aggiornamento 25 settembre 2023
L’economia mondiale, rapidamente globalizzatasi tra gli anni Ottanta del secolo scorso e il primo decennio di questo secolo, è stata colpita in sequenza da una serie di forti scossoni (shocks) che hanno impresso un nuovo corso alla sua evoluzione, modificandone la struttura e il corso e soprattutto aumentando il grado di incertezza economica e politica globale. Alcuni di questi scossoni hanno un’origine locale che si trasmette al globo: si pensi alla crisi dei mercati finanziari del 2007/08 esplosa negli Stati Uniti, che da lì si estende all’economia mondiale; alla guerra generata dalla tentata invasione russa dell’Ucraina, conflitto di confine che ha implicazioni politiche e conseguenze economiche globali. Altri hanno alla loro origine delle cause globali: pensiamo alla pandemia “covid 19”, al surriscaldamento dell’atmosfera e alle conseguenze che ne derivano, ai flussi migratori, effetto degli squilibri economici e demografici globali. La concentrazione in tempi ristretti – i quindici anni che corrono tra il 2008 e il 2003 – di questi shock ha creato livelli di incertezza economica e geopolitica mai raggiunta prima d’ora, almeno dalla Seconda Guerra Mondiale. L’incertezza avvolge non solo l’immediato, ma anche e forse soprattutto il futuro più lontano. All’eredità di questi eventi si aggiungono infatti il rovesciamento geopolitico generato dal tramonto dell’egemonia occidentale e gli imprevedibili effetti dell’irrompere di nuove tecnologie – non vi è solo l’I.A., ma anche tutto l’insieme delle tecnologie della vita –, ma anche l’imprevedibile reazione di Gea a tutti questi sommovimenti.In questo sito certo non si cerca, né si pretende di coprire tutti questi temi, né tanto meno di offrire risposte sul come affrontarli. Si daranno informazioni inevitabilmente sparse e inadeguate sul nuovo contesto globale, oltre che sulle politiche poste in essere o che si vorrebbero ( o dovrebbero) attivare per governarlo e non solo subirlo pensando a un passato che non c’è più. Si daranno degli stimoli di riflessione, utili ai docenti e alla loro attività didattica. L’incertezza regna sovrana e con essa dobbiamo tutti noi convivere e soprattutto aiutare a conviverci i giovani di oggi. L’informazione e la libera ( e vera) discussione ne sono la premessa necessaria.
Articolo 5
L’articolo di C.Checchi e T.Jappelli pubblicato su lavoce.info, di cui è qui indicato il link, raccoglie un’interessante analisi sulle tendenze delle diseguaglianze economiche in Italia. Erano già alte, relativamente agli altri paesi OECD, decenni or sono e ora sono aumentate. Gli autori avanzano alcune ipotesi sulle possibili cause di questo deterioramento
Articolo 4
Il tema del comportamento “indisciplinato” degli studenti in classe è di attualità, come noto. E’ pure noto che esso è stato affrontato dall’attuale governo in una prospettiva “repressiva”. Un problema analogo si pone anche negli Stati Uniti, e non c’è da stupirsi. Anche lì il dibattito è molto acceso e divisivo. Alcuni Stati hanno già introdotto una linea “repressiva”, altri no, o comunque non ancora. L’articolo riportato nel link affronta questo tema e riporta i dati di una ricerca fatta negli Stati Uniti sul successo o insuccesso delle diverse politiche.
Articolo 3
Nel 2001 l’ Autorità antitrust europea, commissario Mario Monti, aprì un procedimento e alla fine condannò Microsoft per abuso di posizione dominante nel mercato dei software . Fu un’importante sentenza antitrust riguardante l’enorme mercato del software. Quest’anno l’autorità antitrust statunitense ha avviato una procedura contro Google per comportamenti abusivi della sua posizione dominante, vertente su questioni analoghe a quelle che avevano riguardato Microsoft. Il dibattito sarà lungo, e alla fine si capirà meglio come funziona il mercato del software e in particolare dei motori di ricerca, e se dedurrà eventualmente se e come esso dovrà cambiare, tenendo conto delle eventuali sanzioni di Google. Si prevede un dibattito molto vivace, in cui avvocati ed economisti molto ben pagati avranno ampio spazio.L’articolo il cui link è qui sotto indicato, pubblicato dalla Brooking Institution, spiega in modo sufficientemente chiaro quali sono gli oggetti del contendere
Articolo 2
Il brevissimo articolo qui riportato ( Fondo monetario internazionale – IMF ) riguarda l’andamento del debito mondiale, privato – imprese e famiglie – e pubblico, rapportato al PIL mondiale.
La fig.1 è molto istruttiva e merita di essere commentata. Il dato indicato è quindi un rapporto, che annulla l’effetto dell’inflazione sul valore assoluto monetario del debito. Il periodo considerato va dagli anni ’50 ai nostri giorni.Il debito, privato o pubblico che sia, è il ponte tra il presente e il futuro, da un punto di vista economico. Il ponte regge se chi fa credito ha fiducia che chi emette il debito lo ripaghi. Ha un prezzo, dato dalla remunerazione “naturale” del capitale – valore di non immediata individuazione né misurazione – e dal premio per il rischio che il creditore attribuisce al non rimborso della somma da parte del debitore. Un esempio a tutti noto è il cosiddetto spread sul debito pubblico italiano, che misura la rischiosità del debito stesso rispetto al debito pubblico tedesco, che in qualche modo misurerebbe l’interesse “naturale” del capitale. La fig.1 mostra come fino all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, ossia fino al consolidamento del sistema neo-liberale l’indebitamento sia privato che pubblico aumenta lentamente. A partire da questa data il debito privato e pubblico iniziano a crescere rapidamente. Tale aumento è reso possibile da una politica monetaria molto permissiva (bassi tassi d’interesse), da un sistema finanziario che si sta irrobustendo e globalizzando, dal boom dei consumi privati ( mutui e in generale acquisti a rate ) e dalla crescita del debiti pubblici per effetto di un costante aumento delle spese pubbliche e di una contemporanea riduzione degli oneri fiscali. I vincoli stretti di bilancio delle imprese non finanziarie fanno sì che l’indebitamento delle imprese si stabilizzi presto. In realtà le imprese frenano gli investimenti produttivi di lungo periodo e privilegiano gli impieghi finanziari. Dunque alla vigilia della crisi del 2008 il livello d’indebitamento delle famiglie e degli stati è già molto alto. Era stata una crescita sostenibile, ossia basata su un’effettiva solidità dei debitori ? Fino a un certo punto, e infatti la crisi finanziaria del 2008 in parte è l’esito della constatazione che la sostenibilità non era dopo tutto così garantita. Si consideri però un dato. Agli inizi degli anni ’90 il Trattato di Maastricht prevedeva che il rapporto debito/PIL non dovesse superare il 60%, perchè al di là di questo valore si sarebbe entrati nello spazio della non sostenibilità. Tale misura risulta oggi del tutto superata. Il livello di sostenibilità è oggi molto più elevato, ma nessuno sa quale sia effettivamente. Più che il valore effettivo del livello sembra contare il suo valore accettato. In altri termini, ciò a cui si crede sembrerebbe essere più importante di ciò che è: la sostenibilità sembra essere un concetto datato storicamente, prima ancora che misurabile e dato. Dal 2008 entra in gioco in modo molto più evidente la politica monetaria facilitante, il cosiddetto quantitative easing . Una sequenza di crisi ( 2008, 2020, 2022 ) hanno innestato un circolo vizioso, in larga parte inevitabile, che ha salvato dal crollo delle economie, ma ha anche prodotto l’inflazione, e anche la congiuntura sfavorevole che oggi viviamo.
Cosa si può prevedere per il futuro ? non è chiaro e d’altra parte l’IMF stesso in questo articolo non parla di fine dell’incremento globale del rapporto debito/PIL, ossia del grado di indebitamento globale, ma di ritorno sul dato di tendenza passato, che è di crescita.
https://content.govdelivery.com/accounts/USIMF/bulletins/3701b0a
Articolo 1
Ci si chiede spesso se esista qualche nesso causale tra le scelte di politica economica messe in atto con successo da un governo e gli esiti dei sondaggi elettorali ed eventualmente quelli delle elezioni. Se questa fiducia mancasse non avrebbero ragion d’essere le preoccupazioni dei governi di presentarsi ai cittadini come policy maker di successo.L’articolo qui indicato, pubblicato dalla Brookings Institution, si riferisce all’attualità statunitense, dove l’attuale governo (Biden) sta pensando alle prossime elezioni di novembre (2024), ma non riesce a comprendere perchè le politiche economiche attuate con evidente successo non trovino riscontro nei sondaggi elettorali. Come mostra l’articolo, è necessaria una certa raffinatezza economica nel valutare questo nesso, che esiste, ma è più complicato di quanto si possa ritenere.