VALENZE FORMATIVE DELL’INSEGNAMENTO DELL’ ECONOMIA NEL BIENNIO
Ritengo
necessario definire, preventivamente, la nozione di valenza
formativa di una disciplina. Questo concetto viene talvolta riferito, in
senso lato, all’insieme di obiettivi
didattici il cui raggiungimento l’insegnamento di una disciplina è in
grado di promuovere. Ritengo che la formatività
debba invece, più restrittivamente, venir riferita:
a)
sul piano comportamentale, alla
maturazione di valori e atteggiamenti,
nella misura in cui l’apprendimento scolastico è in grado di influenzare questi
aspetti, e
b)
sul piano cognitivo, allo
sviluppo di quelle strutture concettuali
generali che consentono di analizzare e classificare esperienze ed
informazioni.
Da questo
punto di vista, le ‘valenze formative’ dell’economia
sono indubbiamente potenti, e ciò si deve innanzitutto alla sua natura di scienza sociale, cioè di sistema culturale funzionale (secondo la
terminologia di Vygotskij) che la società ha elaborato per l’analisi ed il
controllo dei propri processi, e che prescinde da un qualsiasi giudizio
di valore su di essi.
La
distinzione tra ‘analisi’ e ‘giudizio’ è intrinseca allo sviluppo
della cultura scientifica occidentale; l’applicazione di questa distinzione al
campo apparentemente più ambiguo dei fatti
umani è dovuta alle teorizzazioni di M. Weber e W. Dilthey. Trasferita
sul piano pedagogico, questa impostazione ci dice che l’insegnamento di una
disciplina come l’economia (ma questo vale anche per il diritto e tutte le
altre scienze sociali) non deve proporsi di inculcare o ‘dimostrare’ un
certo sistema di valori, una certa visione del mondo, bensì deve trattare
questi da un lato come oggetti dell’analisi stessa, dall’altro come possibili punti
di vista dell’analisi.
L’opzione
etico-noseologica che in questo modo viene ad essere promossa è quella, da un
lato, dell’antidogmatismo e della discussione
critica dei valori e, dall’altro, del pluralismo
culturale. Mi sembra importante precisare che quest’ultimo non deve essere
inteso come puro relativismo (è
fondamentale, nell’ambito pedagogico, sottolineare sempre la necessità
della scelta), ma come ottica della
complessità, come coesistenza cioè di modelli e criteri di analisi diversificati rispetto a differenti ambiti problematici.
Anche in un biennio, ad esempio, può essere con semplicità analizzata
l’apparente contraddizione tra un economista che vede nell'abbassamento dei
salari un rimedio alla disoccupazione, ed un altro che giudica questa misura
controproducente: basterà mettere in evidenza che il primo vede il salario
come costo, mentre il secondo lo
vede come reddito e quindi fonte di domanda.
Lo studio
dell'economia (o meglio: del pensiero economico, della metodologia della scienza
economica) mi pare insomma una buona palestra mentale
per acquisire l'abitudine ad assumere punti di vista differenti e a
confrontare opinioni diverse senza screditarle.
Indubbio
valore formativo riveste un'altra caratteristica della metodologia
dell'indagine economica (e perciò della didattica della disciplina): l'uso
costante e consapevole di modelli
(descrittivi e predittivi) per l'analisi dei fatti e la costruzione di teorie.
Familiarizzarsi con i processi di astrazione
dovrebbe comportare, per lo studente, non solo una crescita delle sue
competenze logico-analitiche, ma anche lo sviluppo di un atteggiamento più meditato
verso la propria esperienza sociale: l'operazione della categorizzazione sottrae il giudizio alla sfera dell'immediatezza ed
insegna a riconoscere le analogie e le costanti della vita sociale, e a riconoscersi
nella doppia natura di individuo unico e di portatore di modelli culturali.
Passando dal
piano metodologico a quello dei contenuti,
mi sembra fondamentale rilevare come l'analisi dei fatti economici faccia
emergere con forza, sopra tutti, un concetto: quello di sistema.
Soprattutto l'approccio macroeconomico
dà sostanza all’idea che l'insieme è
maggiore della somma delle parti, e che i risultati collettivi spesso non
corrispondono ai piani individuali (valga il solito esempio di come un aumento
del prezzo di vendita abbia effetti ben differenti se praticato dal singolo
imprenditore o da tutti gli imprenditori).
Pensare in
termini di sistemi vuol dire porre in primo piano le relazioni
e le interazioni: tra il sistema ed il
suo ambiente (esempio: sistema economico ed ecosistema naturale), tra i
sottosistemi componenti (esempio: tra produzione e distribuzione del reddito),
tra i singoli soggetti di ogni sottosistema (esempio: la concorrenza tra le
imprese su un mercato). Vuol dire inoltre imparare ad esplicitare il rapporto
tra una scelta od azione e i suoi presupposti
e conseguenze (il deficit del bilancio
pubblico ha effetti inflattivi solo
se ..., l'aumento del costo del denaro comporta che ..., il che a sua volta
...), e significa abituarsi alla complessità
delle diramazioni causali e all'esistenza di retroeffetti (gli investimenti, ad esempio, che fanno decollare la
domanda richiedendo la necessità di nuovi investimenti).
L'approccio
sistemico possiede (soprattutto se trasferito adeguatamente ad altri campi del
sapere e dell'esperienza) un indubbio valore socializzante
ed orientativo. L'adolescente viene
infatti spinto a concepirsi e percepirsi in termini di soggetto non isolato, al
crocevia di relazioni di tipo molteplice e contraddittorio: non solo consumatore
di zainetti e paninerie, ma percettore di reddito (trasferimenti), futuro
produttore, fruitore di servizi collettivi, in un mondo di tecnologie che
cambiano, lavori che si estinguono, prodotti che arrivano sempre più spesso
dall’altra parte del globo.
Tutti
conosciamo la definizione formulata da Robbins dell'economia come 'scienza della
scarsità', in quanto il suo oggetto di studio sarebbe il comportamento umano di
utilizzazione di risorse scarse in vista di bisogni illimitati. Questa
delimitazione della disciplina non
gode di un consenso unanime, ma mi pare che essa esprima bene il ruolo centrale
che in campo economico ha la teoria
dell'azione razionale.
Questo
modello teorico (che origina dalla sociologia di Weber e Parsons) può
notevolmente arricchire gli schemi di percezione del comportamento umano, che
sono tipici dell'adolescente e che sono invece basati su una visione
naturalistica e teoricamente indeterminata. Anche di questa prospettiva vorrei
sottolineare il ruolo socializzante ed orientativo:
essa impone infatti di pensare i rapporti umani in termini di piani
e finalità, di vincoli e regole,
di condizionamenti e retroazioni,
e facilita quindi la percezione di sé
come membro di una comunità.
Sul piano
dei contenuti concettuali, le prospettive (gli orientamenti culturali)
prima accennate dovrebbero tradursi nell'appropriazione da parte dello studente
(e nella sua capacità di trasferire ad altri contesti) di una serie di categorie
di descrizione e analisi della realtà sociale.
Tali
categorie vanno a costituire un sistema di assi
(e dimensioni) dello 'spazio
concettuale', che permettono di collocare, misurare, confrontare le singole
informazione (od elementi di esperienza).
Vorrei fare
qualche esempio di un tale apparato categoriale, organizzandolo in coppie
dicotomiche (le dicotomie agevolano l'astrazione e la discriminazione).
Riguardo
alla scala, un fenomeno economico può essere microeconomico (il costo medio di produzione di una merce) o macroeconomico
(il livello dei prezzi). Su un piano temporale,
può essere di breve periodo (il grado
di utilizzazione degli impianti) o di lungo
periodo (l’accumulazione). Dal punto di vista della tipologia delle
interazioni sociali, alcuni fenomeni hanno a che fare con la cooperazione (la divisione del lavoro), altri con il conflitto
(la determinazione dei prezzi). I processi economici possono attenere a sfere diverse (produzione, distribuzione, utilizzo della ricchezza),
e coinvolgere grandezze di differente natura
(reale o monetaria, oggettiva o soggettiva).
L’ipotesi
che sostengo è quindi che le strategie di insegnamento attivate dovrebbero
puntare non solo (e non tanto) all'acquisizione di un repertorio di informazioni
disciplinari, quanto allo sviluppo della capacità di padroneggiare un apparato
concettuale del tipo esemplificato.
Lo sviluppo del pensiero formale comporta, in qualunqure disciplina, l’arricchimento e la diversificazione di un sistema di categorie (concetti). La specificità dell’economia sta, da questo punto di vista, insieme nella contiguità tra il sistema dei concetti disciplinari ed il sistema del pensiero comune, e nella facile trasferibilità di quei concetti ad ambiti problematici nuovi.
Oliviero Talamo
Gruppo di lavoro IRRE Lombardia sul Liceo economico