VALENZE FORMATIVE DELL’INSEGNAMENTO DELL’ ECONOMIA NEL BIENNIO

di Oliviero Talamo

Ritengo necessario definire, preventivamente, la nozione di valenza formativa di una disciplina. Questo concetto viene talvolta riferito, in senso lato, all’insieme di obiettivi didattici il cui raggiungimento l’insegnamento di una disciplina è in grado di promuovere. Ritengo che la formatività debba invece, più restrittivamente, venir ri­ferita:

a)   sul piano comportamentale, alla maturazione di valori e atteggiamenti, nella misura in cui l’apprendimento scolastico è in grado di influenzare que­sti aspetti, e

b)   sul piano cognitivo, allo sviluppo di quelle strutture concettuali generali che consentono di analizzare e classificare esperienze ed informazioni. 

Da questo punto di vista, le ‘valenze formative’ dell’economia sono indubbiamente potenti, e ciò si deve innanzitutto alla sua natura di scienza sociale, cioè di sistema culturale funzionale (secondo la terminologia di Vygotskij) che la società ha elaborato per l’analisi ed il controllo dei propri processi, e che prescinde da un qual­siasi giudizio di valore su di essi.

La distinzione tra ‘analisi’ e ‘giudizio’ è intrinseca al­lo sviluppo della cultura scientifica occidentale; l’applicazione di questa distinzione al campo apparente­mente più ambiguo dei fatti umani è dovuta alle teorizza­zioni di M. Weber e W. Dilthey. Trasferita sul piano peda­gogico, questa impostazione ci dice che l’insegnamento di una disciplina come l’economia (ma questo vale anche per il diritto e tutte le altre scienze sociali) non deve proporsi di inculcare o ‘dimostrare’ un certo sistema di valori, una certa visione del mondo, bensì deve trattare questi da un lato come oggetti dell’analisi stessa, dall’altro come possibili punti di vista dell’analisi.

L’opzione etico-noseologica che in questo modo viene ad essere promossa è quella, da un lato, dell’antidog­matismo e della discussione critica dei valori e, dall’altro, del pluralismo culturale. Mi sembra importante precisare che quest’ultimo non deve essere inteso come pu­ro relativismo (è fondamentale, nell’ambito pedagogico, sottolineare sempre la necessità della scelta), ma come ottica della complessità, come coesistenza cioè di modelli e criteri di analisi  diversificati rispetto a differenti ambiti problematici. Anche in un biennio, ad esempio, può essere con semplicità analizzata l’apparente contraddizio­ne tra un economista che vede nell'abbassamento dei salari un ri­medio alla disoccupazione, ed un altro che giudica questa misura controproducente: basterà mettere in eviden­za che il primo vede il salario come costo, mentre il se­condo lo vede come reddito e quindi fonte di domanda.

Lo studio dell'economia (o meglio: del pensiero economico, della metodologia della scienza economica) mi pare insomma una buona palestra mentale  per acquisire l'abitudine ad assumere punti di vista differenti e a confronta­re opinioni diverse senza screditarle. 

Indubbio valore formativo riveste un'altra caratteristica della metodologia dell'indagine economica (e perciò della didattica della disciplina): l'uso costante e consapevole di modelli (descrittivi e predittivi) per l'analisi dei fatti e la costruzione di teorie. Familiarizzarsi con i processi di astrazione dovrebbe comportare, per lo studen­te, non solo una crescita delle sue competenze logico-ana­litiche, ma anche lo sviluppo di un atteggiamento più me­ditato verso la propria esperienza sociale: l'operazione della categorizzazione sottrae il giudizio alla sfera dell'immediatezza ed insegna a riconoscere le analogie e le costanti della vita sociale, e a riconoscersi nella doppia natura di individuo unico e di portatore di modelli culturali. 

Passando dal piano metodologico a quello dei contenuti, mi sembra fondamentale rilevare come l'analisi dei fatti eco­nomici faccia emergere con forza, sopra tutti, un concet­to: quello di sistema. Soprattutto l'approccio macroecono­mico dà sostanza all’idea che l'insieme è maggiore della somma delle parti, e che i risultati collettivi spesso non corrispondono ai piani individuali (valga il solito esempio di come un aumento del prezzo di vendita abbia effetti ben differenti se praticato dal singolo imprendi­tore o da tutti gli imprenditori).

Pensare in termini di sistemi vuol dire porre in primo piano le relazioni e le interazioni: tra il sistema ed il suo ambiente (esempio: sistema economico ed ecosistema na­turale), tra i sottosistemi componenti (esempio: tra produzione e distribuzione del reddito), tra i singoli soggetti di ogni sottosistema (esempio: la concor­renza tra le imprese su un mercato). Vuol dire inoltre im­parare ad esplicitare il rapporto tra una scelta od azione e i suoi presupposti e conseguenze (il deficit del bilan­cio pubblico ha effetti  inflattivi solo se ..., l'aumento del costo del denaro comporta che ..., il che a sua volta ...), e significa abituarsi alla complessità delle diramazioni causali e all'esistenza di retroeffetti (gli inve­stimenti, ad esempio, che fanno decollare la domanda richiedendo la ne­cessità di nuovi investimenti).

L'approccio sistemico possiede (soprattutto se trasferito adeguatamente ad altri campi del sapere e dell'esperienza) un indubbio valore socializzante ed orientativo. L'adole­scente viene infatti spinto a concepirsi e percepirsi in termini di soggetto non isolato, al crocevia di relazioni di tipo molteplice e contraddittorio: non solo consumatore di zainetti e paninerie, ma percettore di reddito (trasferimenti), futuro produttore, fruitore di servizi collettivi, in un mondo di tecnologie che cambiano, lavori che si estinguono, prodotti che arrivano sempre più spesso dall’altra parte del globo. 

Tutti conosciamo la definizione formulata da Robbins dell'economia come 'scienza della scarsità', in quanto il suo oggetto di studio sarebbe il comportamento umano di utilizzazione di risorse scarse in vista di bisogni illi­mitati. Questa delimitazione  della disciplina non gode di un consenso unanime, ma mi pare che essa esprima bene il ruolo centrale che in campo economico ha la teoria dell'azione razionale. 

Questo modello teorico (che origina dalla sociologia di Weber e Parsons) può notevolmente arricchire gli schemi di percezione del comportamento umano, che sono tipici dell'ado­lescente e che sono invece basati su una visione naturalistica e teoricamente indeterminata. Anche di questa prospettiva vorrei sottolineare il ruolo socializzante ed orientativo: essa impone infatti di pensare i rapporti umani in termini di piani e finali­tà, di vincoli e regole, di condizionamenti e retroazioni, e facilita quindi la percezione di sé come membro di una comunità

Sul piano dei contenuti concettuali, le prospettive (gli orientamenti culturali) prima accennate dovrebbero tradursi nell'appropriazione da parte dello studente (e nella sua capacità di trasferire ad altri contesti) di una serie di categorie di descrizione e analisi della realtà sociale.

Tali categorie vanno a costituire un sistema di assi (e dimensioni) dello 'spazio concettuale', che permettono di collocare, misurare, confrontare le singole informa­zione (od elementi di esperienza).   

Vorrei fare qualche esempio di un tale apparato catego­riale, organizzandolo in coppie dicotomiche (le dicotomie agevolano l'astrazione e la discriminazione).

Riguardo alla scala, un fenomeno economico può essere microeconomico (il costo medio di produzione di una merce) o macroeconomico (il livello dei prezzi). Su un piano temporale, può essere di breve periodo (il grado di utilizzazione degli impianti) o di lungo periodo (l’accumulazione). Dal punto di vista della tipologia delle interazioni sociali, alcuni fenomeni hanno a che fare con la cooperazione (la divisione del lavoro), altri con il conflitto (la determinazione dei prezzi). I processi economici possono attenere a sfere diverse (produzione, distribuzione, utilizzo della ricchezza), e coinvolgere grandezze di differente natura (reale o monetaria, oggettiva o soggettiva). 

L’ipotesi che sostengo è quindi che le strategie di insegnamento attivate dovrebbero puntare non solo (e non tanto) all'acquisizione di un repertorio di informazioni disciplinari, quanto allo sviluppo della capacità di padroneggiare un apparato concettuale del tipo esemplificato.

Lo sviluppo del pensiero formale comporta, in qualunqure disciplina, l’arricchimento e la diversificazione di un sistema di categorie (concetti). La specificità dell’economia sta, da questo punto di vista, insieme nella contiguità tra il sistema dei concetti disciplinari ed il sistema del pensiero comune, e nella facile trasferibilità di quei concetti ad ambiti problematici nuovi.

Oliviero Talamo

Gruppo di lavoro IRRE Lombardia sul Liceo economico