IL SIGNIFICATO CULTURALE DELL'INTRODUZIONE NEL BIENNIO DEL NUOVO INDIRIZZO CLASSICO DELL'INSEGNAMENTO DI ECONOMIA
Per comprendere appieno la portata dell’innovazione costituita dall’insegnamento della nuova materia, è necessario considerare lo scenario nel quale essa si inserisce.
Al di là delle sperimentazioni in atto e dei progetti di riforma in discussione, l’impianto complessivo della scuola superiore in Italia è rimasto finora quello originario di stampo gentiliano, basato su una radicale contrapposizione tra istruzione tecnico-professionale e licei. La divaricazione tra formazione culturale e formazione professionale riflette un insieme di idee non ben definite ma in compenso ben radicate nella cultura italiana (dominata, in questo senso, da una figura come Benedetto Croce) e nell’opinione delle classi egemoni del nostro paese anche in questo dopoguerra. Da un lato abbiamo l’ideologia della ineliminabile opposizione, e differenza valoriale, tra sfera della teoria [cultura] e sfera della attività pratica (ovvero, utilizzando la terminologia sociologica, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale); dall’altro lato, attraverso una discutibile sovrapposizione, continuiamo a vedere ribadita la contrapposizione contenutistica tra discipline umanistiche e discipline scientifiche.
Questo può spiegare perché, come annotava Francesco
Campanella (Parafrasi ed allusioni circa
l’ufficio dell’economia politica nella scuola secondaria superiore ...,
in La Scienza Impropria: Metodi E Usi
Della Teoria Economica, di AA.VV., Franco Angeli Editore, Milano, 1984),
l’Economia, che era presente prima del 1945 nei Licei come appendice
dell’insegnamento di Filosofia, si trovò, una volta espunta da quella
collocazione a seguito delle revisioni dei programmi dell’immediato
dopoguerra, ridotta al rango di materia professionalizzante
negli istituti tecnici. La stessa
difficoltà di collocazione patisce del resto il Diritto che, quando non appare
come disciplina professionalizzante
nei curricoli tecnici, ritroviamo, sotto la denominazione di Educazione
Civica, quale appendice dell’insegnamento di Storia (cioè nell’ambito
‘umanistico’).
L’introduzione dell’insegnamento delle due discipline suddette, prima nei Progetti di Sperimentazione ‘guidata’ nell’ambito dell’Istruzione Tecnica e Professionale, (progetti Igea, ‘92, e così via), poi nelle proposte del Progetto Brocca, costituisce allora, a mio parere, un segnale di profonda innovazione.
In primo luogo perché essa si inserisce all’interno di un disegno più complessivo di sviluppo del sistema formativo, che -guardando all’Europa- assume come orizzonte l’elevamento dell’obbligo e la vasta diffusione dell’istruzione superiore. E questo significa, visto il tipo di collocazione curricolare delle due discipline, che è stata assunta l’idea che la formazione in campo economico costituisca parte essenziale del bagaglio culturale di base del cittadino.
In secondo luogo perché l’innovazione si colloca all’interno di un progetto di riforma dell’istruzione superiore che appare voler ridurre la divaricazione tra funzione professionalizzante e formazione culturale nell’ambito dell’istruzione superiore. L’introduzione delle due nuove discipline assolve la funzione di rendere più sfumata quella bipartizione e di arricchire l’impianto formativo, segnalando l’emergere, in quei curricoli, di un terzo asse culturale: quello delle scienze sociali.
Da questo punto di vista, l’innovazione appare come la
realizzazione di un progetto famoso, elaborato verso la metà degli anni ‘70
dal Consiglio italiano per le scienze sociali (AA.VV., Scienze Sociali e Riforma Della Scuola secondaria. Una Proposta,
Einaudi, Torino, 1977), e che affermava in premessa:
le scienze sociali hanno da tempo ottenuto diritto di cittadinanza nel
panorama scientifico contemporaneo ... a cui non ha fatto però riscontro una
qualsiasi forma di presenza nella scuola secondaria italiana, a differenza di
quanto avvenuto negli altri sistemi scolastici.
Non sarà inutile soffermarsi a ricordare il peso ed il significato di questa componente culturale la cui importanza appare crescente nella società contemporanea.
Figlie dell’Illuminismo settecentesco e del Positivismo ottocentesco, le scienze cosiddette umane o sociali hanno evidenziato un impetuoso sviluppo nel corso di questo secolo, arrivando a guadagnare piena dignità ormai anche accademica e professionale.
Antropologia, sociologia, economia, scienza politica, teoria delle organizzazioni, linguistica, semeiotica, geografia, ecologia, psicologia, psicanalisi: si tratta di strumenti ormai indispensabili per la comprensione ed il controllo su un sistema sociale che appare sempre più complesso, contraddittorio e dinamico. Le elaborazioni concettuali di Smith, Marx, Keynes, Freud, Piaget, Jung, Durkheim, Weber, Pareto, Parsons, Marcuse, Malinowski, Lévi-Strauss, De Saussure, Chomsky, Simon, Bateson, Lorenz -per non citare che alcuni nomi celebri- costituiscono un apparato culturale senza il quale avremmo molta difficoltà a comprendere noi stessi e il nostro mondo di relazioni.
Il carattere distintivo delle scienze sociali è quello di voler estendere al dominio dei comportamenti umani, dei fatti sociali, gli scopi ed i metodi delle scienze naturali. Gli scopi, perché la finalità della ricerca scientifica resta anche in questo campo quella di voler comprendere per poter predire e controllare (e non è un caso che le nuove discipline si sviluppino vigorosamente proprio in funzione della crescente complessità dell’organizzazione sociale e culturale); i metodi, poiché le scienze dell’uomo e della società pretendono che anche questi peculiari ‘oggetti’ possano essere indagati raccogliendo dati, elaborando modelli, formulando ipotesi, adottando procedure di verifica delle ipotesi stesse.
Naturalmente, non si tratta di una semplice trasposizione
della metodologia galileiana e newtoniana in un nuovo dominio empirico. Le
scienze sociali rimangono ben
diversificate da quelle naturali anzitutto per la difficoltà di utilizzare una
metodica sperimentale a verifica delle
proprie ipotesi, e, in secondo luogo, per la natura della spiegazione,
che tende ad essere non di tipo causale
bensì teleologica e che si basa sui
principi della interpretazione, cioè
della ricerca del senso delle azioni
umane.
Integrare nella formazione scolastica terminale di base
(quale si avvia a diventare il biennio delle superiori) questo tipo di
insegnamenti significa allora realmente aprire un orizzonte culturale diverso. L’umanesimo vago e indistinto di certa cultura
licealistica, basata sull’affermazione retorica dei valori e sulla visione
idealistica, o di senso comune, dei comportamenti umani, dovrebbe lasciare il
posto ad una visione razionale e metodologicamente fondata dei sistemi
socio-culturali, ad una analisi critica
dei fatti umani, separata dal giudizio
morale sugli stessi.
Il nuovo paradigma presenta anche altri caratteri.
La cultura idealistica
tendeva a basarsi su un pregiudizio etnocentrico,
e ad analizzare la crescita della società in base al presupposto di un evoluzionismo
lineare e necessario (è questa la
natura dello storicismo). Il nuovo
orizzonte è invece tendenzialmente relativista
e strutturalista.
La storia è fondamentale, ma intesa come l’aspetto dinamico di un sistema
del quale è necessariamente prioritario individuare la struttura e le coerenze;
inoltre, ‘storia’ non è più, necessariamente, sinonimo di progresso, ma, soprattutto, di cambiamento di senso.
All'interno di questo discorso generale, comune a tutte le discipline dell'area storico-sociale, qual è, specificamente, il significato dell'ingresso nei curricoli di base dell'Economia ? La risposta sta probabilmente nella rilevanza della disciplina, sia sul piano pratico che su quello teorico.
Dal primo punto di vista, l'Economia ha a che fare con alcuni dei problemi fondamentali di questa fase di evoluzione delle moderne società: il lavoro, i consumi, la tecnologia, l'ambiente, il ruolo dello Stato, la distribuzione del potere. Attraverso questa disciplina l'apertura dei contenuti dell'istruzione ai problemi reali della società ha allora l'occasione di diventare un metodo di lavoro effettivo e non occasionale, ne più 'tirato per i capelli', aiutando a smontare l'idea di una scuola come luogo separato dalla vita sociale.
Sul piano invece teorico, si può affermare che, se il ruolo più radicale nella fondazione di una ‘scienza dell’uomo’ e nella critica del ‘senso comune’ spetta a quelle discipline che indagano le strutture più intime dell’agire umano (l’antropologia culturale, la linguistica, la psicologia), è certo che l’economia assolve una funzione potente di veicolazione e diffusione di una visione immanente dei fenomeni sociali. Ciò dipende probabilmente dalla sua capacità di inquadrare / connettere grandi quantità di fatti, e, insieme, dal livello fortemente formalizzato dei suoi modelli: empirismo e matematizzazione fanno cioè apparire l’economia la disciplina che nel campo sociale appare più vicina al concetto accreditato di scienza. Un ampio ricorso ai Conti degli Italiani dell'ISTAT e un semplice modello del moltiplicatore diventano, coniugati opportunamente, una importante occasione per vedere la società non più come un corpo mistico, ma (anche) come una 'macchina' che è possibile analizzare.
Inoltre, alcuni fondamentali concetti ordinatori della teorizzazione economica (ad esempio quelli
di sistema, di sviluppo, di scelta razionale) hanno carattere trasversale
e, in qualche modo, fondativo rispetto
all’universo delle scienze della società.
E' ragionevole, in conclusione, voler attribuire
all’economia un ruolo di testa di ponte nella fondazione di un asse culturale
stotico-antropologico-sociale, e, più in generale, nel rafforzamento dell'asse
scientifico all'interno della formazione superiore di base.
Oliviero Talamo
Gruppo di lavoro IRRE Lombardia sul Liceo economico