La sfida del liceo economico-sociale e altre sfide

 

Nel quadro non proprio roseo d’inizio anno scolastico (precari che protestano, anzianità che se ne va, sotto forma di scatti, stipendi bloccati e meritocrazia che invece, sempre annunciata, non si sblocca mai), l’insegnante di diritto ed economia si può, almeno parzialmente, consolare con il nuovo liceo economico-sociale, nato anche grazie al decisivo contributo di AEEE.

Va detto che, se si vuole guardare il bicchiere mezzo pieno, questo fatto non ha risvolti positivi soltanto per i docenti di diritto ed economia che insegnano in quel tipo di scuola, ma indirettamente per tutti, poiché può essere la condizione per la creazione di nuove cattedre e, forse, per l’inserimento, nei prossimi anni, delle nostre discipline in quegli ordini di scuola da cui sono state sempre assenti o, da ultimo, eliminate dalla riforma Gelmini.

I consigli di classe in programma in questi giorni si trovano alle prese, per le prime dell’opzione economico-sociale, con i nuovi quadri orari (ad esempio più ore per diritto ed economia, meno per le scienze umane, conferma delle due lingue comunitarie, ecc.), con le Nuove indicazioni nazionali, con l’entrata a regime della programmazione per assi culturali e quindi con la necessità di riformulare il piano di lavoro elaborato in passato sulla scorta del vecchio ordinamento. Una novità di rilievo per diritto ed economia è costituita dalle tre ore settimanali in luogo di due, di cui una in compresenza. Decideremo di utilizzare la terza ora, almeno al biennio, per attività laboratoriali? Quale articolazione scegliere per le due discipline sulle tre ore settimanali al triennio? Come caratterizzare, tenendo ovviamente conto delle Indicazioni nazionali, un solido curricolo verticale con coerenti raccordi tra i diversi anni? Ancora, quali articolazioni individuare con le altre discipline, non solo le scienze umane, ma anche la storia, la matematica, ecc.? Infine come muoversi rispetto alla problematica del CLIL?

Queste sono solo alcune delle domande a cui saremo chiamati a rispondere nel breve, consapevoli che il nuovo quadro offre una vera e propria sfida culturale, da raccogliere e affrontare per garantire il successo di questo liceo.

Com’è noto l’epilogo della vicenda relativa alla nascita dell’opzione economico-sociale ha lasciato insoddisfatti i docenti di scienze umane, i quali hanno letto nell’assetto definitivo del liceo una svalutazione delle loro discipline (non solo in termini orari, ma anche nella bontà e nella sequenza dei contenuti presenti nelle Indicazioni). Molto critici sono i loro interventi a questo proposito in varie sedi.

Perché indugio sulle scienze umane? Perché ritengo elemento prioritario, ai fini del successo del liceo economico-sociale, la capacità di dialogo tra le scienze umane e il diritto e l’economia, e naturalmente, tra gli insegnanti che i saperi di quelle discipline trasmettono.

Discutibile era, a mio avviso, il privilegio accordato a una sola (fra le tante) scelta epistemologica quale fondamento dell’offerta formativa del “vecchio” liceo delle scienze sociali, quella cioè che legittima un approccio sostanzialmente interdisciplinare, alla ricerca di continui snodi e intersezioni tra le discipline, che lavora sui confini delle stesse, guidato dal paradigma della complessità, in un rinnovato interesse per l’impostazione scaturita, sul finire degli anni settanta quale proposta di riforma della secondaria superiore, dal Consiglio italiano delle scienze sociali.

Il nuovo liceo dovrebbe invece essere l’occasione per strutturare un curriculum, più rispettoso dell’alunno e più critico, che valorizzi un’offerta formativa incardinata su due approcci al campo oggetto delle scienze sociali sostanzialmente alternativi, ma che, pur sensibilmente diversi, possono contribuire ad arricchire il bagaglio culturale dello studente. In altri termini, accanto all’approccio alla complessità, privilegiato dalle scienze umane è compito nostro dare la possibilità agli studenti di indossare un diverso abito mentale, che è quello proprio dell’economia, che predilige il ricorso all’uso della logica e dei dati, che non teme l’accusa di riduzionismo ed è cosciente della parzialità dei risultati raggiunti pur da un rigoroso metodo scientifico.

 

Due parole infine su un’altra “sfida” che mi pare si ponga di fronte a noi, quella relativa alla cosiddetta educazione finanziaria, rispetto alla quale occorre tenere ben saldi tre punti:

 

1.      bene tutte le iniziative a supporto dell’educazione finanziaria, anche perché alcune di queste vedono AEEE coprotagonista;

2.      va chiarito con tutti i nostri interlocutori che l’educazione finanziaria non può essere autosufficiente nella formazione di attenti e competenti consumatori di prodotti finanziari, ma necessita di una rigorosa formazione economica almeno di base;

3.      necessità di una forte sottolineatura del momento formativo all’interno della scuola: i contatti e le sinergie con enti istituzionali esterni sono positivi, ma le competenze per l’insegnamento di tutto ciò che genericamente rientra nella nozione di financial literacy devono trovarsi e, laddove non ci siano, devono essere formate all’interno della scuola.

 

Bruno De Masi